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08 Maggio 2024

Impedimento alla vigilanza: arresto fino a due mesi per chi non risponde alle PEC dell’Ispettorato del lavoro

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Con la sentenza n. 5992 del 2024, la Corte di Cassazione si è espressa in materia di impedimento all’attività di vigilanza. I Giudici della Suprema Corte hanno affermano che l’omessa risposta del datore di lavoro alla richiesta di notizie da parte dell’Ispettorato del lavoro integra il reato punibile con l’arresto fino a due mesi, anche a titolo di colpa, in caso di invio di tale richiesta all’indirizzo di Posta elettronica certificata (Pec) della società indicato nel Registro delle imprese.

I Fatti: L’amministratore unico di una società non aveva fornito all’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Vercelli, che gliene aveva fatto richiesta, la documentazione inerente i rapporti di lavoro instaurati con una dipendente, impedendo di fatto lo svolgimento dell’attività di vigilanza. In particolare, al ricorrente si contesta la mancata esibizione delle lettere di assunzione, del libretto unico del lavoro, della documentazione comprovante la corresponsione delle retribuzioni, nonché la mancata esibizione dei contratti di appalto relativi ai servizi resi presso l’Inail di Vercelli e i registri Iva acquisti e vendite. 

Il reato, di cui all’art. 4 legge 22 luglio 1961, n. 628, si configura nell’ipotesi di omessa esibizione di documentazione, necessaria all’Ispettorato del Lavoro per la vigilanza sull’osservanza delle disposizioni in materia di lavoro, previdenza sociale e contratti collettivi di categoria. Il reato si consuma, qualora nella richiesta sia previsto un termine per l’adempimento, alla scadenza di detto termine e si protrae per tutto il tempo in cui il destinatario omette volontariamente di adempiere. Nel caso in disamina sussiste quantomeno la violazione del dovere di diligenza, essendo onere dell’amministratore accedere e riscontrare le comunicazioni inviate e ricevute alla società, e quantomeno fornire una giustificazione alla omessa esibizione della documentazione richiesta.