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01 Giugno 2020

ORDINANZE | 8988/2020 Sul concorso di colpa di un infortunio sul lavoro

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In caso di infortunio sul lavoro nel quale il datore di lavoro abbia mancato l’adozione delle corrette misure di sicurezza, la corretta formazione, o nel caso in cui lo stesso datore di lavoro abbia impartito un ordine dal quale sia poi scaturito l’infortunio, è necessario escludere il concorso di colpa con la vittima.

Nell'ordinanza di oggi analizziamo l’infortunio di un operaio, deceduto successivamente lo scoppio di un fusto metallico nel quale stava pompando olio idraulico utilizzando un compressore anziché una pompa manuale. Da sottolineare che lo stesso fusto metallico era stato precedentemente modificato proprio allo scopo di permettere il pompaggio del liquido mediante l’uso di un compressore. 

Inizialmente, il Tribunale ritenne che la colpa dell’incidente fosse concorsuale al 50% tra datore di lavoro e lavoratore stesso. 

In seguito al ricorso, la Corte d’Appello ritenne che il concorso della vittima dovesse quantificarsi nel 30%. 

Essendo l’infortunato un operaio esperto, la condotta era da ritenersi imprudente e che avrebbe dovuto rifiutarsi di operare in tale circostanza anche se la lavorazione gli fosse stata imposta. 

I congiunti della vittima ricorrono in Cassazione e, allo stesso modo l’Azienda per la quale operava il lavoratore infortunato procede con un controricorso. 

Nello specifico, come primo motivo di ricorso si deduce che la Corte d’Appello “ha accertato in fatto che il datore di lavoro non aveva fornito la prova di avere attuato la specifica procedura scritta che impone l'uso esclusivamente di pompe manuali per il travaso di olio idraulico; che non vi era prova che il lavoratore avesse seguito corsi di addestramento per le operazioni di travaso dell'olio idraulico; che non vi era prova che fosse stata la vittima ad eseguire le modifiche artigianali al fusto esploso. In mancanza di tali prove, proseguono i ricorrenti, la responsabilità per l'accaduto si sarebbe dovuta ascrivere interamente all'impresa datrice di lavoro. La corte d'appello invece, addossando alla vittima una quota di corresponsabilità, aveva violato i consolidati principi giurisprudenziali in tema di "rischio elettivo" del lavoratore.” 

Secondo la Cassazione il motivo del ricorso è da ritenersi fondato, sottolineando che (si riporta l’ordinanza nella sua completezza data la sua complessità): “La vittima di un infortunio sul lavoro può ritenersi responsabile esclusiva dell'accaduto solo in un caso: quando il lavoratore abbia tenuto "un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute" (ex multis, Sez. L - , Sentenza n. 798 del 13/01/2017, Rv. 642508 - 02; Sez. L, Sentenza n. 19494 del 10/09/2009, Rv. 609782 — 01). 

Il datore di lavoro, infatti, risponde dei rischi professionali propri (e cioè insiti nello svolgimento dell'attività lavorativa) e di quelli impropri (e cioè derivanti da attività connesse a quella lavorativa), ma non di quelli totalmente scollegati dalla prestazione che il lavoratore rende in quanto tale. 

Se il rischio cui si espone il lavoratore è privo di connessione con l'attività professionale, ed il lavoratore sia venuto a trovarsi esposto ad esso per scelta volontaria, arbitraria e diretta a soddisfare impulsi personali, quello non sarà più un "rischio lavorativo", ma diviene un "rischio elettivo", cioè creato dal prestatore d'opera a prescindere dalle esigenze della lavorazione, e quindi non meritevole della tutela risarcitoria od assicurativa da parte dell'assicuratore sociale (principio costante: così già Sez. L, Sentenza n. 16 del 04/01/1980, Rv. 403379 - 01, nonché, in seguito, Sez. L, Sentenza n. 3919 del 29/06/1982, Rv. 421864 - 01; Sez. L, Sentenza n. 4298 del 08/05/1996, Rv. 497485 - 01; Sez. L, Sentenza n. 4557 del 22/05/1997, Rv. 504602 - 01; Sez. L, Sentenza n. 2572 del 07/03/1998, Rv. 513477 - 01 (con ampia motivazione); Sez. L, Ordinanza n. 7649 del 19/03/2019, Rv. 653410 - 01). 

In applicazione di tali principi, è divenuta tralatizia la massima secondo cui il rischio elettivo sussiste in presenza di tre elementi: 

a) un atto del lavoratore volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; 

b) la direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; 

e) la mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa (così, da ultimo, Sez. L, Ordinanza n. 7649 del 19/03/2019, Rv. 653410 - 01) Ricorrendo tale ipotesi, la condotta del lavoratore spezza il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e l'infortunio, e la responsabilità datoriale viene meno per mancanza dell'elemento causale. 

Al di fuori delle ipotesi di rischio elettivo, sorge il problema di stabilire se ed a quali condizioni possa ritenersi il lavoratore vittima dell'infortunio corresponsabile di quest'ultimo. Anche rispetto a tale problema la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo stabilito pochi principi chiari e semplici. 

Il primo principio è che l'art. 1227, comma primo, c.c. (a norma del quale "se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate") si applica anche alla materia degli infortuni sul lavoro: sia perché nessuna previsione normativa consente di derogarvi; sia perché la legge impone anche al lavoratore l'obbligo di osservare i doveri di diligenza a tutela della propria o dell'altrui incolumità: tanto stabiliscono sia l'art. 2104 c.c., sia l'art. 20 d. lgs. 9.4.2008 n. 81 (Sez. L, Sentenza n. 30679 del 25/11/2019, Rv. 655882 - 01; Sez. L, Sentenza n. 9817 del 14/04/2008, Rv. 602900 - 01). 

Il secondo principio è che, nella materia del rapporto di lavoro subordinato, l'applicazione dell'art. 1227 c.c. va coordinata con le speciali previsioni che attribuiscono al datore di lavoro il potere di direzione e controllo, ed il dovere di salvaguardare l'incolumità dei lavoratori. Dall'esistenza di quel potere e di quel dovere, questa Corte ha tratto il corollario che anche quando la condotta della vittima di un infortunio sul lavoro possa astrattamente qualificarsi come imprudente, deve nondimeno escludersi qualsiasi concorso di colpa a carico del danneggiato in tre ipotesi. 

La prima ipotesi è quella in cui l'infortunio sia stato causato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali. 

In questo caso il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima che abbia eseguito un ordine pericoloso, perché l'eventuale imprudenza del lavoratore non è più "causa", ma degrada ad "occasione" dell'infortunio. Del resto, se così non fosse, si finirebbe per attribuire al lavoratore l'onere di verificare la pericolosità delle direttive di servizio impartitegli dal datore di lavoro, assumendosene il rischio (Sez. I, - , Sentenza n. 30679 del 25/11/2019, in motivazione; Sez. L, Sentenza n. 7328 del 17/04/2004, Rv. 572139 - 01; Sez. L, Sentenza n. 5024 del 08/04/2002, Rv. 553587 - 01; Sez. L, Sentenza n. 6993 del 16/07/1998, Rv. 517282 - 01). 

La seconda ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza (da ultimo, Sez. L , Ordinanza n. 12538 del 10/05/2019, Rv. 653761 - 01). 

Il datore di lavoro infatti ha il dovere di proteggere l'incolumità del lavoratore nonostante l'eventuale imprudenza o negligenza di quest'ultimo, con la conseguenza che la mancata adozione da parte datoriale delle prescritte misure di sicurezza costituisce in tal caso l'unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso (Sez. L, Sentenza n. 24798 del 05/12/2016, Rv. 641980 - 01; Sez. L, Sentenza n. 1994 del 13/02/2012, Rv. 620913 - 01; Sez. L, Sentenza n. 4656 del 25/02/2011, Rv. 616154 - 01; Sez. L, Sentenza n. 19494 del 10/09/2009, Rv. 609782 - 01; Sez.L, Sentenza n. 5024 del 08/04/2002, Rv. 553588 - 01; Sez. L, Sentenza n. 6993 del 16/07/1998, Rv. 517282 - 01). 

La terza ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro. 

In tal caso, infatti, se è pur vero che concausa del danno fu l'imprudenza del lavoratore, non è men vero che causa dell'imprudenza fu la violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di istruire adeguatamente i suoi dipendenti, e varrà dunque il principio per cui causa causae est causa causati, di cui all'art. 40 c.p. (Sez. L, Sentenza n. 30679 del 25/11/2019; Sez. L, Sentenza n. 24629 del 02/10/2019, Rv. 655134 - 01). 

Questi essendo i principi in base ai quali stabilire se sussista, ed in che misura, un concorso di colpa del lavoratore infortunato, ritiene questa Corte che essi non siano stati puntualmente applicati dalla sentenza impugnata. 

La Corte d'appello [omissis], infatti, ha accertato in punto di fatto che: 

-) [l’infortunato] perse la vita a causa dello scoppio di un fusto per olio idraulico; 

-) questo fusto, che normalmente si sarebbe dovuto riempire di olio idraulico con una pompa a mano, era stato modificato artigianalmente per consentire il riempimento per mezzo di un compressore, al fine di velocizzare l'operazione; 

-) questo intervento (che aveva comportato l'esecuzione di saldature sul fusto) era stato la causa dello scoppio (così la sentenza impugnata, p. 8); 

-) il datore di lavoro non aveva dimostrato di avere consegnato al lavoratore la "procedura operativa scritta" che imponeva l'uso solo di una pompa manuale per il riempimento del fusto; 

-) mancava la prova che il datore avesse impartito ai dipendenti corsi di addestramento per l'esecuzione delle operazioni di travaso dell'olio idraulico; 

-) mancava la prova che l'esecuzione dei lavori di saldatura sul fusto fosse stata una autonoma iniziativa del lavoratore, ignota alla società datrice di lavoro; 

-) infine, quel che più rileva, la Corte d'appello ha accertato che la società [omissis] aveva "omesso i necessari, doverosi e dovuti, continuativi controlli delle attrezzature aziendali (..) ed altresì delle necessarie opere e controlli volti a garantire la sicurezza nei locali aziendali" (così la sentenza impugnata, pp. 10-11). 

La Corte d'appello ha dunque accertato in punto di fatto che il datore di lavoro non aveva eseguito i doverosi controlli sui macchinari, non aveva fornito le opportune istruzioni al lavoratore, e non gli aveva impartito alcun corso di formazione per quel tipo di lavorazione. 

Ricorrevano dunque nel caso di specie, secondo quanto accertato in fatto dallo stesso giudice di merito, tutte e tre le ipotesi sopra elencate (§§ 1.3.2.1.-1.3.2.3.) in cui l'eventuale imprudenza del lavoratore degrada a mera occasione dell'infortunio. 

La sentenza impugnata ha dunque effettivamente violato l'art. 1227 c.c., facendone applicazione in una fattispecie cui mancava il nesso di causalità tra la condotta della vittima e l'infortunio.”